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Sulla qualificazione del reddito prodotto dalle Società tra Professionisti: la sentenza della Cassazione n. 7407 del 17 marzo 2021 in contrasto con i condivisibili orientamenti dell’A.E.

La Cassazione, con la sentenza n. 7407 del 17 marzo 2021, si è espressa in ordine alla qualificazione del reddito prodotto dalle Società tra Professionisti.

Lo ha fatto prendendo una posizione destinata a fare discutere e ad alimentare incertezze.

Secondo la citata Cassazione cioè “similmente a quanto accade ai fini del riconoscimento della debenza dell’IRAP da parte dei liberi professionisti, da escludersi nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione, risultando, in tal caso, mancante ii presupposto stesso della pretesa impositiva (cosi, tra le prime, Cass. Sez. 5, sent. 2 aprile 2007, n. 8172, non massimata, in senso analogo, tra le più recenti, Cass. Sez. 5, ord. 2 aprlle 2020, n.  7652, Rv. 657537-01), anche ai fini dell’applicazione della ritenuta di acconto alle società tra professionisti, la qualificazione come reddito di impresa, del reddito dalle stesse prodotte, presuppone che le prestazioni di lavoro autonomo costituiscano elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, risultando, cosi, inserite in strutture che sono frutto dell’impiego del capitale, ovvero che il lavoro del professionista ed il capitale concorrano entrambi nella produzione del reddito, sicché quest’ultimo non potrà ritenersi derivante dal solo lavoro, ma dall’intera struttura imprenditoriale”.

In altre parole, per la Cassazione citata, ove non si dimostri che la STP abbia prodotto il proprio reddito in ragione della prevalenza della sua organizzazione rispetto al lavoro intellettuale, lo stesso reddito è da ritenersi di natura professionale e come tale, conseguentemente, soggetto all’applicazione della ritenuta d’acconto.

La Cassazione in parola ha ritenuto quindi di risolvere “la discrasia tra natura commerciale del tipo societario eventualmente utilizzato e la natura eminentemente professionale dell’attività svolta” nel senso della prevalenza della seconda sulla prima.

Tanto, peraltro, in contraddizione con tutti i più recenti orientamenti (pure non ignorati nella decisione in commento) dell’Agenzia delle Entrate, la quale da ultimo con la risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E aveva invece opportunamente sottolineato la prevalenza della veste giuridica assunta secondo le forme tipiche del codice civile, piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale, con conseguente riconducibilità del reddito prodotto (dalle STA e quindi dalle STP) nella categoria dei redditi di impresa.

Tale condivisibile orientamento dell’Agenzia delle Entrate traeva origine, sostanzialmente, dal considerare le previsioni di cui all’art. 6, comma 3 del TUIR (I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi), e all’art. 81 dello stesso TUIR (Il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa ed è determinato secondo le disposizioni di questa sezione) norme speciali prevalenti sulle regole generali dettate anche dallo stesso TUIR, quando all’art. 53 sancisce che “sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni”.

Ebbene, che le disposizioni di cui agli artt. 6 (comma 3) e 81 del TUIR debbano prevalere (per la loro “specialità”) sull’art. 53 comma 1 dello stesso TUIR appare cosa sancita dai medesimi artt. 6 e 81 nel comune inciso, “da qualsiasi fonte provengano”. Inciso questo che ha senso solo proprio nella prospettiva di indicare che quando un reddito viene prodotto da una società, lo stesso è considerato reddito di impresa, per una prevalenza dell’elemento soggettivo rispetto a qualsivoglia altro.

D’altra parte, detta prevalenza, riconosciuta dal legislatore, risponde anche ad una esigenza di certezza di diritto.

E’ ovvio infatti che mentre non possono sorgere dubbi sulla soggettività di chi produce un reddito (una società, o una persona fisica, un’ associazione professionale, ecc.), non lo stesso si può dire rispetto alla natura del reddito prodotto, che si ricava dall’attività concretamente svolta dal contribuente; e quindi va “vista” caso per caso ed in relazione a cosa concorre a svolgere tale attività e conseguentemente il reddito (l’organizzazione, il capitale, i mezzi, e/o l’attività intellettuale).

Quanto sopra induce a ritenere non condivisibile la decisione della Cassazione n. 7407 del 17 marzo 2021, resa in contrasto anche con le posizioni dell’Agenzia delle Entrate.

Con ciò, poi, senza tralasciare, in punto di fatto, che le regole del reddito d’impresa, spesso più penalizzanti per il contribuente rispetto a quelle del reddito professionale (si pensi ad esempio alla tassazione per competenza e non per cassa), sono ovviamente funzionali rispetto alle esigenze di strutture organizzate anche con una ampia pluralità di soci. Strutture quali, appunto, per loro natura dovrebbero essere le STP, il cui riconoscimento normativo risponde proprio all’esigenza di organizzare, al meglio e su scala dimensionale adeguata, le attività professionali (come noto sempre più complesse), con l’aggregazione e integrazione di più soggetti con competenze specialistiche differenti.

Il che fa pensare che, ove non sia la stessa giurisprudenza (cosa tutt’altro che improbabile) a ribaltare la prima decisione dei giudici di legittimità sull’argomento, potrà al riguardo essere opportuno un intervento chiarificatore del legislatore.

Francesco Palmieri.

 

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