Sulla buona fede del cessionario dei crediti d’imposta: la sentenza della Corte di Cassazione – Sez. Penale, n. 45558/2022

La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Penale, n. 45558/2022 che in allegato riportiamo è destinata a fare molto discutere; e soprattutto potrà avere notevoli ripercussioni sull’intero sistema di circolazione dei crediti d’imposta correlati alle agevolazioni nel settore edilizio (prima fra tutte quella del 110%).

La Corte di Cassazione con la sentenza in parola, che concerne la posizione di un (“istituzionale”) cessionario di crediti, ricorda che «la giurisprudenza di questa Corte è, sul punto, stabile nell’affermare il principio secondo cui in tema di confisca, rientra nella nozione di “persona estranea al reato”, in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa  appartenenti ai sensi dell’art. 240, comma terzo, cod. pen., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2641 cod. civ., il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede (Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017 – dep. 19/09/2017, Rv. 271441 – 01…)»

Partendo da tale presupposto la Suprema Corte considera che «nella disciplina del Decreto rilancio, il cessionario dei crediti di imposta che provveda alla monetizzazione del credito al cedente, anzitutto consegue indubbiamente un vantaggio economico dalla cessione del credito di imposta. Ed infatti, i crediti vengono ceduti ad un valore inferiore rispetto al valore nominale, e ciò determina un indubbio utile in capo al cessionario, atteso che 31 Corte di Cassazione – copia non ufficiale quest’ultimo “acquista” il credito di imposta, monetizzandolo al cedente, ad un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando così un utile sui singoli crediti acquistati.

Ed allora, proprio alla luce di tali considerazioni, è indubbio che la posizione del cessionario che lucra un vantaggio consistente dall’operazione di cessione, in applicazione del predetto principio fissato dalle Sezioni Unite, sia quella di un soggetto difficilmente qualificabile – agli effetti del sequestro e della successiva confisca – come persona “estranea al reato”, proprio perché il cessionario del credito di imposta trae vantaggio dall’altrui attività criminosa, dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato».

Di conseguenza pure il cessionario “istituzionale” è ben esposto al rischio di confisca del credito d’imposta ceduto, poiché lo stesso rimane (secondo la prospettazione della Corte di Cassazione) un soggetto che in ogni caso, acquistando crediti d’imposta ad un prezzo generalmente inferiore al valore di realizzo (che in compensazione è pari al nominale) degli stessi, trae comunque vantaggio dall’altrui attività criminosa (quella di colui che ha posto in essere quegli artifici che hanno dato origine alla “creazione” di un credito d’imposta in realtà non esistente in tutto e/o in parte).

E’ agevole intuire che la sentenza in argomento non potrà che destare notevoli preoccupazioni nei cessionari (anche e soprattutto “istituzionali”,  banche, poste, ecc.) dei crediti d’imposta; e tanto ovviamente ben al di là della singola fattispecie oggetto dello scrutinio di massimi giudici. Con conseguenti possibili rilevanti contraccolpi sull’intero comparto dell’edilizia (e non solo) interessato al funzionamento del (discutibile ed invero già molto discusso) “meccanismo” della cessione di crediti d’imposta.

Francesco Palmieri

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