L’art. 13 del D.lgs. n. 117/2017 (il c.d. Codice del Terzo Settore) disciplina gli obblighi contabili e di redazione del bilancio cui sono soggetti gli Enti del Terzo Settore.
In particolare, al primo comma, che trova applicazione per gli Enti con volumi di ricavi o entrate non inferiori ad euro 220.000, è previsto che il bilancio debba essere «formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto gestionale, con l’indicazione, dei proventi e degli oneri, dell’ente, e dalla relazione di missione che illustra le poste di bilancio, l’andamento economico e gestionale dell’ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie».
Il comma 2, invece, riguarda gli Enti del Terzo Settore di più ridotte dimensioni; vale a dire gli enti «con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate inferiori a 220.000,00 euro».
Per essi «il bilancio» «può essere redatto nella forma del rendiconto per cassa».
Di fatto quindi tali Enti “minori” possono evitare di redigere il “bilancio” (intendendo per tale quello sostanzialmente assimilabile al civilistico tipico della società commerciali), ma possono limitarsi alla redazione di un riepilogo delle entrate e delle uscite distinte, naturalmente, per tipologie di spesa. Dunque, un documento di facile elaborazione di mero riepilogo “di cassa”; senza quindi necessità di rilevazioni contabili secondo i ben noti (per le società commerciali) principi di “competenza economica”.
A chiarire il concetto ad ogni modo soccorre il decreto (che qui si allega) del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali emanato in data 5 marzo 2020 in attuazione del comma 3 del art.13 citato, a cui si rinvia. Con lo stesso sono stati peraltro «adottati, ai fini della redazione del bilancio di esercizio da parte degli enti del Terzo settore, i modelli di stato patrimoniale (Mod. A), rendiconto gestionale (Mod. B) e relazione di missione (Mod. C), di cui al citato articolo13, comma 1, nonché il modello di rendiconto per cassa (Mod. D), di cui all’articolo».
Alcune problematiche pone, invece, il comma 4 dello stesso art. 13 che così dispone: «Gli enti del Terzo settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale devono tenere le scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile».
Ci si interroga, in particolare, su quale siano in concreto, Enti del Terzo Settore che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale.
Al riguardo, trattandosi di Enti del Terzo settore, appare chiaro che il legislatore non faccia riferimento ad una delle forme societarie previste dal codice civile. Potrebbe invece sostenersi che la disposizione si riferisca all’ “impresa sociale”, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106. Tuttavia, in tal caso, la norma apparirebbe pleonastica perché per tali “imprese” rimane pur sempre in vigore lo “statuto” dell’imprenditore commerciale del codice civile e dunque anche l’art. 2214 dello stesso c.c.
Una chiave di lettura, come anche suggerito da alcuni interpreti (ci si riferisce ad una recente pubblicazione sulla rivista “Fiscal Focus” dell’1.7.2022) può rinvenirsi nell’art. 79 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi) dello stesso Codice del Terzo Settore (D.lgs. n. 117/2017).
Detto art. 79, invero appunto riferito alla materia fiscale, indica parametri di distinzione tra attività commerciali e attività non commerciali degli Enti del Terzo Settore; e può rappresentare quindi un punto di riferimento per le valutazioni in ordine all’obbligatorietà della tenuta delle scritture contabili ai sensi dell’art. 2214 c.c..
Può rappresentare, appunto, ma non necessariamente rappresenta. Questo perché, è evidente, la normativa di cui al Codice del Terzo settore, si interseca con le altre disposizioni di legge pur sempre vigenti.
Per cui, anche per gli ETS (e pure per quelli di dimensioni non particolarmente rilevanti), come per ogni altra attività economica, occorre prestare molta attenzione ai profili contabili e fiscali, per non incorrere in spiacevoli “sorprese”, sia in ordine a responsabilità di carattere civile e/o penale (si pensi anche alla fallibilità di tali Enti e quindi anche alla dimostrazione di sussistenza/insussistenza dei limiti dimensionali di cui all’art. 1 della l.fall.), sia con riguardo ai profili fiscali che tante sfaccettature presentano.
Francesco Palmieri
Stefano Sorrentino