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Società di comodo: la recente decisione della Corte Giustizia dell’Unione Europea – incompatibilità della disciplina italiana con il sovranazionale diritto unionale

Con la recente sentenza del 7 marzo 2024 nella causa C-341/22 (qui il link al testo pubblicato sul sito “curia.europa.eu”) la Corte Giustizia Ue ha dichiarato incompatibile la disciplina italiana delle società cd. “di comodo” con il sistema IVA dell’Unione Europea, là dove nel diritto italiano è prevista la  “presunzione relativa” secondo cui sarebbe  “non operativa” la società il cui volume di operazioni effettuate a valle non raggiunge per tre periodi d’imposta consecutivi una soglia calcolata in ragione del rapporto fra l’ammontare dei ricavi e talune attività patrimoniali (il riferimento è in particolare all’ articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – qui il link alla relativa pagina del sito “normattiva”).

Secondo la Corte unionale la qualità di soggetto passivo IVA non è subordinata alla condizione che un soggetto effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA per un valore economico superiore a una soglia di reddito previamente fissata. Infatti, obietta la Corte, ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detto soggetto eserciti effettivamente un’attività economica e che sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.

Sicché la Corte con sentenza in parola ha chiarito che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva unionale IVA (Direttiva 2006/112/CE) deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone.

Inoltre, la medesima Corte ha altresì dichiarato che  l’articolo 167 della Direttiva IVA nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle.

La sentenza in argomento comporta l’obbligo, a carico dei giudici nazionali, e prima ancora a carico dell’amministrazione finanziaria, di dover disapplicare la sopra citata normativa contraria alle previsioni della Corte di Giustizia Europea, nonché, sotto altro profilo, imporrebbe al legislatore italiano di dover intervenire sulla medesima normativa considerata incompatibile con il diritto dell’unione europea (quindi nella specie sull’ articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724).

Domenico Ummarino

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