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Sanzione penale e tributaria per la dichiarazione infedele: la Cassazione conferma il “doppio binario”

In caso di dichiarazione infedele possono “cumularsi” sia le sanzioni di natura penale che quelle di carattere amministrativo-tributario, essendo sempre più strette le maglie del “ne bis in idem” così come interpretato dalla giurisprudenza.

Questo è il principio che si desume dalla lettura della sentenza n. 4439/2021 della Cassazione, che conferma la condanna di un soggetto titolare di partita IVA alla pena di quattro mesi di reclusione per il delitto di infedele dichiarazione previsto dall’art. 4 del DLgs. 74/2000, per aver indicato, nelle dichiarazioni fiscali relative all’IRPEF e all’IVA, elementi passivi inesistenti, superando le soglie di punibilità previste dalla fattispecie penale.

Il contribuente, titolare di partita IVA, aveva corrisposto al Fisco, per il tramite della procedura di accertamento con adesione la somma complessiva di 701.165,95 euro. La difesa invocava, dunque, il “divieto di cumulo” delle sanzioni chiedendo la disapplicazione delle norme penali e affermando la radicale contrarietà al “ne bis in idem” dell’attuale sistema di “doppio binario” sanzionatorio e procedimentale, così come previsto in astratto dalla legislazione italiana. Tale principio sarebbe, nei fatti, sempre violato allorché il contribuente, già definitivamente sanzionato in via amministrativa, per la medesima violazione venga anche sottoposto a procedimento penale.
Questa conclusione, non viene accolta dalla Cassazione, che nella sentenza in commento, spiega come – a suo dire – tale tesi si ponga in contrasto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza italiana e sovranazionale.

Innanzitutto, si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2019, che, ponendosi in continuità rispetto alla precedente sentenza n. 43/2018, contiene una puntuale e aggiornata ricapitolazione dello stato dell’arte a proposito del rapporto tra procedimento penale e procedimento amministrativo/tributario, il cui esito risulta essere l’applicazione di una sanzione avente comunque natura penale.

In proposito, la giurisprudenza sovranazionale ha messo in luce come non vi sia la violazione del “ne bis in idem” nel caso della irrogazione definitiva di una sanzione formalmente amministrativa, per il medesimo fatto per il quale vi sia stata condanna a sanzione penale, quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema.

Il sistema del “doppio binario” – si legge nella pronuncia in commento – trova giustificazione nella rilevanza degli interessi nazionali e nella diversità dei fini perseguiti dalle due procedure: mentre il procedimento amministrativo/tributario è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. La minaccia, quindi, di una sanzione detentiva per condotte particolarmente rilevanti (operanti al superamento delle soglie di punibilità, al fine di definirne la rilevanza), in aggiunta ad una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, legittimamente lo scopo di rafforzare l’effetto deterrente generato dalla previsione della sola sanzione amministrativa e di esprimere il biasimo verso condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei.

Sempre la Corte osserva, infine, che non bisogna trascurare la sussistenza del requisito della “prevedibilità” delle sanzioni da parte del contribuente, dal momento che la legislazione italiana stabilisce chiaramente la sanzionabilità in via amministrativa della violazione ai sensi dell’art. 1 comma 1 del DLgs. 471/1997 da un lato, e in via penale della dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 del DLgs. 74/2000 dall’altro.

Riccardo Lombardi

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