Le cessioni intracomunitarie e la documentazione necessaria a provare il trasferimento fisico dei beni dall’Italia ad un altro stato membro della UE, al fine di poter beneficiare della non imponibilità IVA, hanno sempre rappresentato delle tematiche molto discusse, stante la mancanza nell’ordinamento interno di una norma che stabilisca in modo chiaro ed univoco quali siano i documenti idonei a dimostrare l’avvenuto trasferimento.
La legge italiana, infatti, conformandosi sul punto alla Direttiva 2006/112/CE (“Direttiva IVA”), non detta alcuna specifica disposizione in merito ai documenti che il contribuente deve conservare ed esibire in caso di eventuale controllo, per provare l’avvenuto trasferimento del bene in un altro Stato della UE.
Gli unici riferimenti sono stati forniti dalla prassi amministrativa attraverso numerose circolari e risoluzioni che però, avendo fornito delle indicazioni talvolta contrastanti, non hanno consentito di individuare una precisa linea da seguire al riguardo.
Chiarificatrice è stata tuttavia l’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate titolata “Chiarimenti in merito alla prova delle cessioni intracomunitarie. Articolo 45-bis del Regolamento Ue n. 282 del 2011, introdotto dal Regolamento Ue n. 1912 del 2018” (circolare n. 12 del 12 maggio 2020) della quale si è discusso nel corso dell’ultima sessione di Telefisco tenutasi il 27.1.2021 e che opportunamente alleghiamo.
In tale circolare è prevista l’opportunità per gli operatori di adeguarsi al regolamento comunitario 1912/2018 con cui l’Unione Europea ha previsto una presunzione legale a favore del cedente [paragrafo 1, lettere a) e b), dell’articolo 45- bis del Regolamento IVA] elencando in modo esplicito, all’interno del regolamento, quali sono i documenti sufficienti, affinché possa scattare la predetta presunzione.
In particolare, tra tali documenti vi sono delle dichiarazioni da parte delle parti coinvolte (dichiarazione del cedente o del cessionario a seconda che la spedizione venga effettuata dal venditore o da un terzo per suo conto o dall’acquirente o da un terzo per suo conto) e i documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni (ad esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma del trasportatore).
Per la normativa europea, quindi, per provare il trasferimento, il documento di trasporto rimane comunque il documento principalmente riconosciuto.
L’Agenzia delle Entrate, nel corso di Telefisco, ha invece chiarito che nel caso in cui non si disponga del documento di trasporto sono ammissibili altri mezzi di prova idonei a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato Ue, quali ad esempio: il CMR elettronico, avente il medesimo contenuto del CMR cartaceo, oppure un insieme di documenti dal quale si possono ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore e cessionario). Questi documenti alternativi alla CMR vanno conservati con le fatture di vendita, con gli attestati di pagamento e con la documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat.
Ovviamente se l’operatore segue questa strada (diversa da quella prevista dal regolamento) l’amministrazione potrà valutare caso per caso l’idoneità dei documenti prodotti, con la conseguenza che non scatta la presunzione contenuta nell’articolo 45-bis del Regolamento IVA qualora la documentazione in possesso del contribuente non risponda ai requisiti ivi previsti.
Silvia Wurzburger