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Legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare: la recente decisione della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, N. 5255 del 3 novembre 2022 – dep. 7 febbraio 2023)

1. Il caso.

La vicenda trae origine dall’ impugnazione dell’ordinanza del 16 maggio 2022, con la quale il Tribunale di Trani aveva rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip con il quale era stato disposto, nei confronti di una società., il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento di ritenute dovute o certificate).

Avverso tale ordinanza il curatore fallimentare proponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p., 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 e 42 R.D. n. 267 del 1942 (legge fallimentare), in relazione alla possibilità di operare il sequestro preventivo, successivamente alla declaratoria di fallimento, di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare – che sarebbe soggetto terzo estraneo al reato – e non della persona indagata o della compagine fallita.

 

2. I precedenti richiamati

Il ricorrente rilevava come nel caso di intervenuta la dichiarazione di fallimento, il sequestro preventivo dei beni della società non possa più̀ essere eseguito, dato che i beni oggetto della predetta misura cautelare reale sono nella disponibilità della curatela fallimentare (Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022): il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica, che ne è la destinataria, importa lo spossessamento e il venire meno del potere di disporne in capo al fallito, essendo automaticamente trasferito agli organi della procedura fallimentare, con attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio anche al fine di evitarne il depauperamento (Sez. 3, n. 47299 del 16/11/ 2021; Sez. 3, n. 12125 del 5/02/2021).

I motivi di ricorso richiamavano, inoltre, un arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 45936 del 26/11/2019, secondo cui è di ostacolo all’applicabilità del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis (ovvero la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo dei reati tributari), l’appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei al reato; natura che, secondo quanto argomentato, avrebbe l’attivo fallimentare.

3. La diversa interpretazione

Siffatto orientamento giurisprudenziale è invece posto in dubbio nel corpo della Sentenza del Collegio qui in parola che richiama pronunce che hanno invece individuato in capo al fallito la titolarità dei beni sino al momento della vendita fallimentare (Sez. 3, n. 31921 del 04/05/2022, non mass.; Sez. 4, n. 864 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 282567; Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass.; Sez. 5, n.  52060 del 30/10/2019, Rv. 277753; Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 275129).
Osserva ancora la Corte come la giurisprudenza di legittimità, espressa dalle Sezioni civili della stessa Corte, non abbia mai dubitato del fatto che la dichiarazione di fallimento di una società privi la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio, ma non comporti di per sé alcuna alterazione della compagine sociale, i cui organi restano in funzione, sia pur con le limitazioni derivanti dall’intervenuta dichiarazione di fallimento; tant’è che, analogamente, la chiusura del fallimento fa venir meno lo “spossessamento” della società fallita, con il conseguente riacquisto da parte della stessa della libera disponibilità dei beni, ma non comporta invece l’estinzione della società.

4. Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’ insolvenza

Il Giudice massimo, pur premettendo l’inapplicabilità del d.lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Imprese e dell’Insolvenza – CCII), non ancora entrato in vigore in quel momento, aggiunge alcune riflessioni sulla disciplina ivi disposta nel rapporto tra le misure cautelari reali e le procedure concorsuali, sottolineando che i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali possono essere dedotti con interpretazione logico-sistematica, oltre che dalle norme già vigenti nell’ordinamento anche dalla disciplina fissata dagli artt. 317 e ss. dello stesso CCII.

Agli artt. 317 e ss. del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è infatti affidata la disciplina delle misure cautelari penali nella liquidazione giudiziale.

Segnatamente, all’art. 317 CCII. viene sancita la prevalenza delle misure cautelari reali penali sulle procedure concorsuali limitatamente all’ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca, ex art. 321, co. 2 c.p.p. (deroghe sono invece previste nell’ipotesi di sequestro preventivo “impeditivo” di cui all’art. 321, co.1 e nell’ipotesi di sequestro conservativo).

Osserva ancora la Corte che la disciplina non presenta una vera e propria soccombenza degli interessi creditizi al sequestro penale, posto che il co. 1 dell’art. 317 CCII rinvia all’applicazione del D.Lgs. n. 159 del 2011, ossia a disposizioni che consentono una pur parziale soddisfazione delle pretese del ceto creditorio in buona fede e con un titolo che cronologicamente preceda l’applicazione della misura cautelare reale.

5. La decisione

Conclude, quindi, il Supremo consesso affermando che «è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell’equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l’esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi».

Roberto Patauner

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