Il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 per l’emissione dell’avviso di accertamento si riferisce anche all’accesso effettuato dagli organi di controllo presso il consulente/professionista tenutario delle scritture contabili. Questo quanto sancito dalla Corte di Cassazione (Sezione V civile), con la sentenza n. 10352 depositata il 31/03/2022 che si allega.
Pertanto, anche in questa ipotesi non è lecito che il Fisco emetta l’atto impositivo anticipatamente, salvo motivi d’urgenza, che non possono consistere nella scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa o in altro fatto riconducibile a inerzia e negligenza dell’Ufficio.
Il giudizio nasce dall’impugnazione di un avviso di accertamento in materia di IVA scaturito dalla richiesta di esibizione delle scritture contabili dell’impresa individuale del contribuente, formulata nei confronti del commercialista depositario delle stesse, a seguito delle irregolarità riscontrate dall’Agenzia delle Entrate nella dichiarazione IVA presentata.
Il ricorso del contribuente, inizialmente respinto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, è stato, poi, parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Pimonte, che ha ritenuto dovuta la maggiore imposta disapplicando, d’altro canto, le sanzioni.
In merito alla pretesa impositiva, la Commissione Regionale ha, preliminarmente, ritenuto regolarmente emesso l’avviso di accertamento escludendo la violazione del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della I. 27 luglio 2000, n. 212 (cd. Statuto del Contribuente), argomentando che detto termine «concerne il verbale relativo a operazioni di “verifica”, ipotesi diversa da quella in esame essendo il verbale della specie limitato a nota di riscontro di richiesta di esibizione di atti e documenti prodromici non solo all’attività di accertamento ma alla stessa attività di verifica».
Ebbene, tale affermazione della C.T.R. è stata alla base del ricorso presentato dal contribuente dinanzi alla Corte di legittimità, la quale, nel condividere la tesi difensiva, ha approfondito due interessanti aspetti:
- il primo relativo al configurarsi dell’urgenza che esonera l’Ufficio dal rispetto del termine di 60 giorni e che quindi autorizza lo stesso ad anticipare l’emissione dell’atto;
- il secondo – assai interessante perché aspetto poco trattato dalla Corte in passato – inerente la tipologia di verbale che, secondo la norma, innesca l’obbligo di aspettare 60 giorni prima di formare l’avviso di accertamento da notificare al contribuente.
Con riferimento al primo aspetto ovvero le ragioni di urgenza che possono spingere l’Ufficio ad anticipare l’emissione dell’avviso di accertamento senza attendere i sessanta giorni prescritti dal settimo comma dell’art. 12 L. n. 212/2000, i Massimi Giudici hanno ricordato l’orientamento – oramai consolidato – della propria giurisprudenza secondo cui le ragioni di urgenza devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità (Cass. N. 22786 del 09/11/2015), riguardando, pertanto, il contribuente ed il rapporto controverso (Cass. 2587 del 05/02/2014; Cass. N. 9424 del 30/04/2014; Cass. N. 14287 del 24/06/2014; Cass. N. 21815 del 07/09/2018) e non possono consistere nella scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa (Cass. n. 22786 del 2015, cit.). Precisando altresì che il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dell’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie ed all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio (Cass. S.U. n. 18184/2013, cit; Cass. n. 27623 del 30/10/2018).
Passando alla questione concernente il tipo di verbale da cui conteggiare il termine in discorso, gli Ermellini hanno affermato – richiamando proprie precedenti pronunce in materia – che il menzionato termine dilatorio «decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo» (Cass. n. 1497/2020; Cass. n. 15010/2014), e che detto termine «si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicché, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso “ante tempus”» (Cass. n. 10388/2019).
Alla luce di quanto sopra, i Giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso del contribuente in quanto, nel caso di specie, l’atto impositivo è stato emesso prima di sessanta giorni dall’accesso effettuato presso il professionista tenutario delle scritture contabili e «ritiene il Collegio che tale accesso sia sicuramente equiparabile, ai fini dell’applicazione della garanzia procedimentale prevista dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, all’accesso avvenuto presso la sede dell’impresa. […] La ratio legis è chiaramente nel senso di consentire l’accesso alle scritture anche al di fuori della sede aziendale presso i locali del consulente senza particolari formalità in quanto questi è un mandatario del contribuente, e pone a carico del contribuente un onere di collaborare con l’Ente verificatore in quest’ultima ipotesi».
La Suprema Corte ha – quindi – cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso del contribuente.
L’Ufficio, infatti, ha violato il termine che lo Statuto del contribuente pone, a pena di nullità dell’atto, a garanzia del diritto sancito a tutela del medesimo dalla L. 212/2000.
Riccardo Lombardi