Sezioni Unite: Socio illimitatamente responsabile può eccepire il beneficium excussionis.

Con sentenza n. 28709 del 16 dicembre 2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la possibilità del socio di impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale, nell’ipotesi di esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato,

Il caso

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società un avviso di accertamento, affermando di aver notificato l’atto presso la sede legale e nelle mani dell’ultimo legale rappresentante. A tale atto, che non veniva impugnato, seguiva poi la notifica della cartella di pagamento all’ex socio.

L’ex socio, nell’impugnare la suddetta cartella di pagamento, eccepiva per un verso, che l’avviso di accertamento prodromico fosse stato notificato alla società e contestava, per altro verso, la violazione del principio di sussidiarietà, a causa dell’inosservanza del beneficium excussionis che gli sarebbe spettato.

La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite

La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, attiene dunque alla impugnabilità della cartella di pagamento, notificata al socio illimitatamente responsabile in relazione a debiti della società, a causa della mancata preventiva escussione del patrimonio sociale.

L’iter argomentativo

L’iter argomentativo seguito dalla Suprema Corte al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi nel tempo, offre interessanti spunti di riflessione.

Ed infatti, in primo luogo la Corte evidenzia la necessità di chiarire i seguenti aspetti:

– la  identificazione della portata soggettiva del titolo esecutivo nella riscossione e nell’esecuzione a mezzo ruolo di imposte, in relazione ai coobbligati in via sussidiaria;

– i margini entro i quali costoro possono esercitare il proprio diritto di difesa.

Quanto al primo punto, la Corte afferma che nei confronti dell’ente creditore quella del socio illimitatamente responsabile è una responsabilità «da posizione», perché deriva dalla qualità di socio e concerne indistintamente e automaticamente tutti i debiti della società.

Pertanto, soggetto passivo nei cui confronti va accertato che il tributo è dovuto ai fini della formazione del ruolo è la società, ed è quindi a questa che l’ente creditore notifica l’avviso di accertamento.

E’ invece sufficiente che al socio illimitatamente responsabile sia notificata la cartella di pagamento (o anche soltanto l’avviso di mora – oggi intimazione di pagamento), quale atto giuridicamente dipendente dal ruolo già formatosi nei confronti del soggetto passivo d’imposta (società).

La cartella – si legge ancora in sentenza – vale come notificazione di quel ruolo, e determina, al pari del precetto, la pretesa esecutiva.

Il socio, dunque, è legittimato ad impugnare la cartella contestando il diritto a procedere all’esecuzione con riferimento a quel titolo (e quindi per debiti tributari), allo stesso modo in cui per gli altri debiti sociali egli può contestare la propria responsabilità mediante opposizione all’esecuzione.

Alla luce di tali considerazioni, e con riferimento alla specifica questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, la Corte afferma, sostanzialmente, che il socio, nell’impugnare la cartella, può proporre l’intera gamma delle contestazioni che gli spettano. E, per farlo, si deve rivolgere al giudice tributario.

Tra le eccezioni che il socio può sollevare, vi è anche l’improcedibilità dell’azione esecutiva nei propri confronti perché l’ente creditore non si è soddisfatto prima sui beni che compongono il patrimonio sociale.

Riconosciuta la possibilità che il socio illimitatamente responsabile eccepisca la violazione del beneficium exscussionis, la Corte rileva altresì che – poiché la responsabilità sussidiaria può scattare soltanto quando il creditore non riesca a soddisfarsi, in tutto o in parte, sui beni dell’obbligato principale – occorre provare l’esistenza o inesistenza di tale capacità patrimoniale.

Segue: Onere probatorio

E si arriva così al secondo aspetto, ovvero quali siano i margini entro i quali i coobbligati in via sussidiaria possono esercitare la propria difesa.

Nel chiarire tale punto, le Sezioni Unite procedono a delineare e ripartire l’onere della prova, differenziando tale riparto in relazione al tipo di società.

In via preliminare rileva la Corte che, quando l’incapacità patrimoniale della società è accertata con sentenza che ne dichiara il fallimento, la legge ammette, immediatamente e senza attendere i risultati dell’esecuzione concorsuale, l’azione esecutiva del creditore sociale sul patrimonio del socio, facendo conseguire al fallimento della società quello dei soci illimitatamente responsabili (art. 147 I.fall.).

Fuori da tale ipotesi, ed avendo come discrimine il tipo di società, questo il riparto dell’onere probatorio stabilito dalle Sezioni Unite:

1) nella società semplice (e nelle società irregolari) è sul socio che incombe l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale;

2) nel caso della società in nome collettivo e di quelle in accomandita semplice e per azioni l’onere della prova s’inverte: qui è il creditore a dover provare l’insufficienza del patrimonio sociale.

La diversità di riparto dell’onere probatorio attiene sostanzialmente alla diversa condizione giuridica della società registrata rispetto a quella non registrata: è soltanto in relazione alla prima, difatti, che il creditore sociale è posto in grado di conoscere, attraverso la pubblicità del contratto sociale e delle sue modificazioni, i conferimenti dei soci e le loro successive vicende, sicché il socio è giustamente dispensato dall’onere d’indicargli i beni sui quali potersi soddisfare. E una scelta analoga a quella relativa alla società registrata è stata adottata in favore del cessionario d’azienda o di ramo di essa (ex art. 14 del d.lgs. n. 472/97).

Pertanto, in considerazione del riparto dell’onere probatorio:

  • se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto;
  • se il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto;
  • se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti;
  • se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario.

L’accoglimento, totale o parziale del ricorso non potrà che dar luogo al corrispondente annullamento della cartella nei confronti del socio.

Un ulteriore interessante passaggio della sentenza in commento prevede che il coobbligato beneficiato non decada dal diritto di far valere il beneficio, sicché se non lo fa valere impugnando la cartella, lo potrà fare contro l’eventuale intimazione successiva e, in mancanza, impugnando il pignoramento, ma stavolta dinanzi al giudice dell’esecuzione: e ciò perché la natura sussidiaria della propria obbligazione resta tale anche se non la si fa valere immediatamente.

Principio di diritto

Concludendo quindi, e così risolvendo il contrasto giurisprudenziale formatosi negli anni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto : “In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso ‘andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario”.

Francesca Zacchia

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