Danilo, Gaetano e Massimo, ed io ci si siamo conosciuti “sul campo”. Le nostre famiglie non avevano alcun legame. Non eravamo compagni di classe, non l’università insieme. Non avevamo la stessa comitiva, non amici stretti in comune, e neppure abbiamo giocato a calcetto insieme; né, tantomeno, avevamo interessi economici che ci univano.
Ci siamo conosciuti “sul campo”, dicevo. Incontrati, cioè, nelle aule di Tribunale o in particolari occasioni di lavoro nelle quali ci siamo confrontati, “letti” ed apprezzati.
Abbiamo poi capito, in quelle occasioni del tutto casuali (che talvolta avremmo anche volentieri evitato), nelle quali la nostra individuale vita professionale ci ha imposto di lavorare spalla a spalla (spesso fino a notte fonda), che avevamo lo stesso approccio, la stessa dedizione, la stessa propensione al lavoro di squadra, la stessa incondizionata disponibilità a lavorare “nel segno” del “bene” e del “giusto”, e, quindi, soprattutto gli stessi valori etici.
Così, nelle circostanze complicate che la professione ci ha messo davanti, in epoca abbastanza recente, ci siamo rivolti gli uni agli altri quando c’era la necessità della collaborazione del collega davvero bravo, onesto, leale, affidabile.
Poi, abbiamo preso coscienza che lavorare insieme rende tutto più lieve. Che il fardello del lavoro, quando portato insieme, non è poi così pesante. E’ molto più leggero. Si possono fare grandi cose; rendere tanti servizi e fornire tanta qualità negli stessi. E’ possibile raggiungere quei traguardi preclusi a chi si chiude nel proprio “micromondo”.
Invero, da tempo ben sapevamo che la professione ha bisogno della sua dimensione. Ne avevamo già la piena consapevolezza; ma non avevamo ancora un team sufficientemente ampio e affidabile.
Il “Team giusto” è invece poi nato, via via, quando il confronto professionale avuto in specifiche delicate questioni ci ha fatto rendere conto che, uniti, insieme, potevamo realizzare qualcosa di importante.
Non più da soli è stato l’hashtag che ci è venuto in mente quando durante il primo lockdown del marzo 2020 abbiamo iniziato a ragionare del progetto Value in Law.
Questo progetto, ci siamo da subito resi conto, doveva portarsi avanti tra di noi, ma doveva essere anche più grande di noi; per raggiungere, appunto, quella dimensione oggi necessaria per affrontare le grandi sfide al fianco e al servizio di chi già si affida a noi e di chi vorrà farlo in futuro.
Bisognava quindi coinvolgere quei professionisti, “già fatti”, non cioè ragazzi da formare (che pure ci affiancano), le cui competenze, la cui affidabilità, i cui valori, fossero a noi già ben noti. Certezze, insomma. Da subiti operativi.
Ci siamo così rivolti a quei colleghi le cui capacità, competenze, ed i cui valori, per aver condiviso anni di lavoro e/o collaborato con l’uno o con l’altro di noi “fondatori”, erano ben note; cercando poi quelle professionalità che potessero integrare le nostre esperienze nelle diverse specializzazioni delle professioni economiche/legali.
Non c’è voluto molto quindi a coinvolgere Paola, Luigi, Federico, Pierpaolo, Domenico, Stefano (Sorrentino), Stefano (Borriello), Marzia, Luca (Formicuzzi), Luca (Senatore), Riccardo, Gerardo, Francesca, Nicola e Silvia. In qualche modo già sapevamo che sarebbero stati “dei nostri”.
Neppure poi abbiamo intesto rinunciare a quell’enorme bagaglio di esperienza che i nostri soci “ad honorem” potevano portarci. Sfruttando il legame familiare, abbiamo l’onore di avere in squadra Nicola Giuliano e Bruno Matera, che hanno tanto da insegnare.
Ultimo, ma ovviamente non ultimo, mi sembrava davvero assurdo non coinvolgere per un supporto consulenziale due maestri del diritto commerciale: mio fratello Gianmaria, e Mario Campobasso (anche lui un “fratello”). Li ringrazio infinitamente. Al riguardo, mi vengono in mente le parole di Gaetano, che un giorno nel corridoio di un Tribunale, mentre io mi consultavo telefonicamente con Gianmaria e Mario, mi disse: “Franci, ma ti rendi conto ? noi altri li dobbiamo leggere; tu li chiami !”. Eh si: un’altra fortuna che ci sorride.
Ora siamo partiti. Incrociamo le dita, e rimbocchiamoci le maniche. Come al solito; più del solito; ma non più da soli !
Napoli, 1 gennaio 2021
Francesco Palmieri
